L’acqua fresca sulla pelle mia e di Elisa era qualcosa di incredibilmente piacevole durante la calda giornata che stavamo trascorrendo nella sua piscina. I suoi genitori l’avevano comprata proprio in vista di quell’estate torrida ed erano sempre stati felici di invitarmi per tenere compagnia alla propria figlia durante le vacanze estive che loro, in ogni caso, avrebbero passato spesso al lavoro. Dopotutto una cosa era l’estate per due ragazze che avevano appena terminato le medie, un’altra era per delle persone adulte che, nonostante i quasi quaranta gradi, erano costretti a lavorare. 

Elisa sarebbe stata molto sola senza di me, si sarebbe annoiata a morte in quella sua casa molto distante dal centro e circondata più che altro da campi. Rimanevamo sole per ore con pochi obblighi se non quello di non distruggere la casa. I genitori di Elisa erano abbastanza permissivi e ci lasciavano tranquille  senza pretendere di ricevere messaggi ogni dieci minuti. 

Sole sole, senza nessuno a controllarci. La pelle bagnata dalle gocce veniva accarezzata quando queste scorrevano lungo il nostro corpo. Qualche settimana prima avevo iniziato un piccolo gioco con la mia amica. Le passavo un dito sulla pelle umida, raccoglievo un po’ di rugiada e la assaggiavo appoggiandola sulla lingua. Poi, dopo qualche verso di apprezzamento, provavo a mordicchiarla come la volessi mangiare. Un semplice gioco. 

Cominciavo sempre dalla spalla, molto leggera per provocarne una reazione di finta paura. Lei si metteva a ridere all’inizio. Al secondo morso cominciavo a percepire il suo calore, al terzo la mia lingua toccava per un secondo la sua pelle. Il sapore salato veniva smorzato dall’acqua della piscina. Avevo iniziato con la spalla, ma ogni volta cambiavo il punto in cui i denti affondavano. Subito mi bastò il braccio, poi venne la mano, poi la schiena. Mi avvicinavo di volta in volta in zone sempre meno adatte a rendere un morso innocente. Le risate erano sempre più sostituite da lunghi silenzi, borbottii e… 

Quel giorno avevo molta fame. Non avevo tolto gli occhi di dosso da Elisa per tutto il tempo. Non vedevo l’ora che ci lasciassero sole, ogni istante di attesa mi torturava. Ora però non c’era nessuno. Chiusi gli occhi ed ascoltai il silenzio e l’isolamento in cui eravamo abbandonate. Lei forse aveva capito qualcosa, ma molto male, perché mi si avvicinò per sapere come stavo. 

Puntai subito al collo stavolta. Avevo impiegato mesi per osare, per vincere la paura di essere respinta. Ma adesso, sapendo che non mi aveva fermato la prima volta, avevo tutto il diritto di prenderla alla gola. Lei rimase bloccata come il suo fiato strozzato in un grido di dolore. Sentivo già il suo sapore sgocciolarmi in bocca dal suo collo bagnato. Mi spinse via di colpo. I suoi occhi erano strani, i miei dovevano essere terrorizzati. Non mi aveva mai fermata, ma, guardando il suo collo segnato dai miei denti, potevo capire il perché: stavolta dovevo averle fatto davvero male. Abbassai lo sguardo. 

Lei, però, non sprecò tempo e tornò da me per abbracciarmi. Mi rassicurò che non era arrabbiata, si era solo spaventata per un istante. I nostri visi si toccavano. Le sue labbra mi diedero un bacio sulla guancia, troppo vicino alla bocca. La strinsi, spostati il viso di pochi centimetri e la baciai anch’io percependo quella morbidezza leggermente umida. Non venni respinta. 

Continuai a morderla, con più gentilezza, mentre le mani un po’ accarezzava o ed un po’ aggredivano il suo corpo. Inutile passare dalle spalle: scelsi subito altre zone molto più pericolose. Avevo gli occhi chiusi, mordevo ed assaggia o il suo corpo, a volte osavo baciarlo. Lei non respirava come chi prova dolore. Non so chi sia stato, se io o lei, ma il costume le scivolò velocemente dal corpo. Non era facile capire la differenza tra la pelle del petto e quella del suo seno, dopotutto non eravamo ancora sviluppate per nulla, ma in ogni caso non mi sarebbe importato. La abbracciai forte mentre glielo mordevo, spinsi il mio corpo contro il suo quando baciai il capezzolo destro.

Lei aveva subito fino a quel momento, ma il desiderio cresceva tanto da spingermi al mio posto con forza e fermezza che non le riconoscevo, mettere le sue mani sul mio costume per toglierlo via in un gesto deciso. Mi prese dalle spalle, spinse il suo petto contro il mio e mi bacio violentemente. Le sue mani accarezzavano decise la mia schiena fino al sedere. Mi cominciò a togliere anche quel pezzo di costume ed io feci lo stesso a lei. 

Eravamo completamente nude, sole, immerse nell’acqua fresca ed abbracciate l’una all’altra. I nostri seni premevano l’uno contro l’altro, le nostre gambe si erano quasi intrecciate così che entrambe eravamo a cavalcioni della coscia dell’altra. La sua pelle liscia strusciava contro la mia, il nostro abbraccio non era più innocente, il desiderio verso l’altra cresceva ma non sapevamo come si potesse esprimere, non ancora. 

Ripresi a baciarle il corpo, a morderglielo. Era difficile ora che eravamo allacciate. I suoi versi nascondevano sempre di meno il piacere che provava, sembrava volermi stringere fino a rompere le mie ossa. Nessuna delle due apriva gli occhi, non volevamo sentire il profondo imbarazzo che avremmo percepito a far uscire dai sensi ciò che facevamo. Non sapevamo nemmeno dargli un nome, solo che era qualcosa da nascondere e tenere segreto. Non lo avremmo detto a nessuno. 

Il cuore batteva, il corpo fremeva ad entrambe. Non bastava l’ignoranza a fermare l’istinto animale che ci guidava al piacere, non bastava la vergogna a rendere meno forti i nostri gemiti o a frenare il movimento dei nostri fianchi. Un lungo bacio ad occhi chiusi accompagnava il ritmo sempre più serrato con cui struciavamo il pube contro la gamba dell’altra. Un piacere familiare diventava sempre più presente nella mia e nella sua mente, il piacere che avevo sperimentato solo nel buio di camera mia. Elisa no. Elisa non aveva mai giocato da sola ed era più spaventata ed assieme più violenta di quanto fossi io. Lei accelerò all’improvviso, ansimò più forte. Premetti la gamba contro di lei e la feci trasalire. Lei spinse e si strisciò con più forza ancora. Era bagnata dall’acqua e dagli umori, scivolava facilmente mentre percepivo le sue labbra aprirsi per la prima volta in quel modo particolare e raccogliere sangue e calore. Si bloccò un istante, ebbe uno spasmo in avanti e, staccando le labbra da me fece uscire un grido dal profondo del corpo. Mi strinse. La sentivo provare gli spasmi del suo primo indimenticabile orgasmo. 

La dolcezza con cui mi stringeva e tentava di formulare scuse per le sue colpe mi fecero dimenticare per i minuti in cui la consolai quanto la desiderassi e quanto fossi ancora bisognosa di venire soddisfatta. Ma nel giro di un’ora non avrei potuto più lamentarmi.

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